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Sabato, 03 Luglio 2021 18:13

IL POLITICO DEL XXI SECOLO

Dico la verita`, pur masticando di politica da tanti anni non ho mai capito cosa voglia dire esattamente "Sovranismo".
Piu` chiaro mi e` il concetto di "Nazionalismo". Quello che mette cioe` la propria Nazione al di sopra delle altre : "Prima gli Americani" (America First", diceva Trump, appioppandoci salatissimi dazi su scarpe e prodotti alimentari, che per fortuna sono stati eliminati da Biden) Prima gli Italiani", o "Prima gli Ungheresi", puo` essere declinato in tutte le salse (Prima il Nord, prima il Sud, prima l`Est o prima l`Ovest.

I manuali scolastici di Letteratura spiegano, probabilmente giustamente, che il Nazionalismo e` un derivato della corrente letteraria del Romanticismo: all`inizio dell`Ottocento, dopo la Restaurazione, i Romantici misero l`accento sul diritto di ogni Popolo ad avere la propria autonomia, la propria liberta`, la propria Nazione.
Bene benissimo: ma come si riconosce l`unita` di un popolo ? Dal fatto che, rispondono i Romantici, gli abitanti abbiano la stessa cultura (piu` o meno) la stessa lingua (anche qui piu` o meno, paragonate il dialetto siciliano a quello bergamasco, come fece Nanni Loy nel 1961, e trovatemi qualche consonanza!) lo stesso sentimento di unita`.

Secondo alcuni storici sia Napoleone (imperatore dei Francesi proveniente dalla Corsica) , sia Hitler, Fuhrer dei tedeschi venuto da un paesino dell`Austria, sono un effetto estremizzato del Romanticismo-Nazionalismo.

Ma veniamo ai giorni nostri: " un vero Statista - diceva Alcide de De Gasperi - e` quello che pensa non alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni". Vero verissimo.

Siamo nel XXI secolo ( ormai avanzato): possiamo permetterci di ragionare ancora come nel XX o XIX secolo, o piu` indietro ancora ?
Direi proprio di no.
Nel Gennaio dell`anno scorso la pandemia del Covid 19 pensavamo ancora fosse un problema limitato alla Cina, a Whouan.
Non abbiamo fatto i conti con la globalizzazione, con la velocita` dell`interconnesione che ormai sovrasta, come una ragnatela (World Wide WEb) l`intero Globo terracqueo.
Nel Febbraio del 2020 cominciavamo in Italia a chiudere le scuole, e subito dopo il disastro ci ha colpito in pieno.

Ecco qual e` il problema: si puo` ragionare, in pieno XXI secolo, come se una Nazione fosse isolata dall`altra ?
Si, forse, ma al massimo solo se si vuole vivere in una estrema poverta`, come la Corea del Nord, tagliata fuori da ogni commercio e collegamenti esterni.
Si puo` immaginare di fare a meno della globalizzazione, e che il famoso battito di farfalla a Manhattan non abbia effetti dirompenti anche dall`altra parte degli Oceani ?
NO, non piu`, credere che basti rinchiudersi nel proprio bozzolo sarebbe oggi (ma lo era anche ieri) uno sbaglio gravissimo e imperdonabile.
E questo vale soprattutto per l`Europa, che rischia di diventare sempre di piu` un "Vaso di Coccio", come diceva Alessandro Manzoni, tra due "Vasi di Ferro", USA e Cina.
Europa che invece si deve porre l`obiettivo di diventare assolutamente e in tempi rapidi il terzo "Vaso di ferro".

Aggiornerei allora la famosa frase di De Gasperi: per me il politico del XXI secolo, che voglia veramente essere grande e fare il bene delle prossime generazioni, e` quello che guarda al suo paese e al mondo come un Astronauta proiettato nello spazio (Paolo Nespoli o Samantha Cristoforetti) vede la Terra .

Una palla sempre piu` piccola e lontana, su cui si possono riconoscere creste montagnose e pianure, ma non certo confini politici ideati dall`uomo per complicarsi la vita e avere pretesti per "rubare" ( a suon di massacri !) quello che e` degli altri.

Una palla su cui ci stiamo tutti, tanti (sette miliardi e mezzo), che noi abbiamo il dovere di proteggere, per la nostra stessa sopravvivenza, e su cui un disastro ecologico o nucleare capitato in una zona non puo` non avere effetto su tutti gli altri territori.

A distruggere i Dinosauri, 64 milioni anni fa, fu un grosso meteorite caduto nel Golfo del Messico. I disastrosi effetti (obnubilamento del cielo, mancanza di calore, essiccamento delle foreste) si sentirono in Africa, in Europa, in Asia (anche se i Dinosauri che vivevano in quei continenti magari si sentivano al sicuro !) .
Scomparvero tutti, in tutti i Continenti, perche` la Terra e` tonda ed e` una sola !

Ecco, lo ripeto, e` per questo che il politico "moderno" dovrebbe vedere la Terra come un Astronauta. Dall`alto, nella sua complessita`, nella sua interezza. Chi cerca vie facili fa solo il male suo, del suo Popolo, della sua Terra

 

 

 

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Sabato, 03 Luglio 2021 07:48

Combattere il caldo con le acque del Gerenzone

Mentre scriviamo le temperature fuori iniziano davvero a farsi sentire e, qui a Lecco, l'estate sembra decisamente iniziata.

Noi di Officina però, abbiamo i nostri segreti per combattere il caldo e sappiamo di poter sempre contare sulle acque fresche del Gerenzone.

In questo numero volevamo cogliere l'occasione per comunicarti il ritorno delle nostre attività all'aperto e stuzzicare la tua curiosità presentandoti uno dei principali testimoni della storia del fiume: la fiumicella.

Le fiumicelle erano i canali che, grazie al sistema idraulico di chiuse e salti, regolavano il flusso dell'acqua e la portavano agli opifici lecchesi.

Ci raccontano gli abitanti del fiume:

"Andavamo a fare il bagno sotto alle cascate. Acqua freddissima, gelida.

Prima della mia generazione c’erano le chiuse, i canali che portavano l’acqua del Gerenzone ai macchinari che andavano con la forza idraulica e anche nei canali facevano il bagno!

Io avevo 13 anni, tagliavamo in giardino le canne di bambù, filo e amo e andavamo a far finta di pescare. Camminavo sulla riva e facevo tutto il tragitto."

Ricordo di Raffaella Melesi

Ancora oggi lungo il Gerenzone si trovano i resti delle fiumicelle. Un esempio è Via Ramello, dove, a ridosso di un piccolo parcheggio, vi sono due punti con paratie in cui l'acqua eccedente veniva restituita al fiume.

Grazie al contributo dei volontari sono stati attuati una serie di interventi per liberarle da rovi e riportarle alla luce.

Le fiumicelle si possono ammirare dalla sponda opposta, anch'essa liberata dai rovi e che ora consente di percorrere agevolmente il sentiero pedonale che costeggia la proprietà Baruffaldi.

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Sabato, 03 Luglio 2021 06:50

IL GRIDO DELLA CAROTA

"Le cri de la carotte", di James Hansen.
Sì, il “grido della carota”. Recenti ricerche suggeriscono che le piante, come gli
animali, sentono dolore e possiedono una forma semplice d’intelligenza. Si pone così un nuovo
problema etico—e forse alimentare—che il francese Dominique Lestel, autore di Apologie du carnivore,
riassume in questi termini: “Perché sarebbe più etico far soffrire una carota piuttosto che una lepre?”
L’intento dello scrittore “carnivoro” è ovviamente polemico, ma la domanda non è senza merito. Se
entrambi i tipi di organismi soffrono quando li consumiamo, che senso ha risparmiare gli animali
mentre uccidiamo con violenza carote, verdure e germogli di soia? Lestel conclude che vegetariani
e vegani sono degli assassini né più né meno di chi mangia una bistecca al sangue e, a semplice
rigor di logica, è difficile dargli torto.

La domanda in sé non è nuova. Gli erbivori “filosofici” finora se la sono cavata asserendo che le piante
non possono provare dolore perché non hanno un sistema nervoso. Però, negli ultimi tempi ricerche
hanno dimostrato che, per quanto il funzionamento delle reazioni e, volendo, delle “emozioni” delle
piante sia diverso da quello degli animali, qualcosa di molto simile esiste pure negli organismi vegetali.
Un’equipe dell’Università di Losanna, per esempio, ha dimostrato l’esistenza di un meccanismo nelle
piante che permette alle foglie “ferite” di comunicare il danno subìto attraverso “un processo di
segnalazione a lunga distanza” che “stimola la produzione di... potenti regolatori delle reazioni di difesa”.
Il lavoro, secondo i ricercatori, indicherebbe la presenza nella pianta Arabidopsis—un’erbaccia comune
nei prati italiani—“di geni simili a quelli importanti per l’attività sinaptica negli animali”, un’attività che
agisce cioè come una sorta di “sistema nervoso diffuso”.

Ciò non dovrebbe sorprendere. Per quanto non siamo soliti a percepirle a questa maniera, le piante sono
tra gli organismi più grandi e complessi del mondo. Un esemplare di Posidonia oceanica, scoperto nel
2006 sui fondali al largo delle Baleari, è lungo circa otto km e vecchio—si stima—più di 100mila anni.
Indipendentemente dalle “verità” scientifiche, ormai da tempo va di moda attribuire una vita emotiva
alle piante—almeno quando sono raggruppate in boschi o simili. È il tema centrale di un importante
bestseller internazionale dell’ambientalista tedesco Peter Wohlleben, “The Secret Life of Trees”, “La
saggezza degli alberi” in versione italiana. Wohlleben scrive: “Che sia un lupo che sbrana un cinghiale
oppure un cervo che mangia un germoglio di quercia, in entrambi i casi ci sono dolore e morte”.

Poniamo allora che le piante soffrano terribilmente quando le raccogliamo. Dobbiamo quindi rinunciare
a consumarle? La risposta è palesemente “no”. Di che cosa ci nutriremmo poi, oltre alle foglie morte
cadute per terra o a qualche sbobba unicellulare che non potrà pensare a niente? Forse è utile ricordarsi
delle civiltà asiatiche storicamente vegetariane. Potrebbe non essere un caso che sono emerse tra
popolazioni con una densità tale da rendere impossibile sfamare tutti con la carne. La storia dimostra
una notevole tendenza a trasformare ciò che è necessario in moralità. Se davvero le piante soffrono
nell’essere mangiate, o cambiamo dieta o cambiamo etica.

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