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Palazzo delle Paure, Villa Manzoni e Palazzo Belgiojoso e le mostre allestite

Riaprono al pubblico da martedì 2 febbraio, per effetto della ridefinizione dal punto di vista del rischio sanitario del nostro territorio regionale, i poli museali del Sistema Museale Urbano Lecchese. Le aperture saranno alternate e gli ingressi contingentati, per garantire a tutti una visita sicura. Per informazioni e prenotazioni è possibile contattare il 335 5378189 dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 (www.museilecco.org).

Visitabili martedì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18, oltre che mercoledì, giovedì e venerdì dalle 10 alle 13, il Museo Manzoniano e la Galleria d'Arte Moderna di Villa Manzoni.

Accesso consentito a Palazzo Belgiojoso martedì e mercoledì mattina dalle 10 alle 13, mentre Palazzo delle Paure con la sua Fototeca e la mostra "Il Fiume Adda. Di immagine in immagine, tra tempo e luce", la Galleria d'Arte Contemporanea e l'Osservatorio Alpinistico Lecchese, resta aperto mercoledì dalle 14 alle 18, oltre che giovedì e venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18.

La mostra “La Scapigliatura. Una generazione contro” allestita al Palazzo delle Paure aprirà il 10 febbraio e resterà aperta negli orari di apertura del polo museale descritti sopra. Per accedere sarà necessario prenotarsci scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L’esposizione “Lotto, l’inquietudine della realtà” sarà visitabile, con prenotazioni su www.capolavoroperlecco.it a partire da martedi 2 febbraio. Gli orari di apertura al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 e il giovedì dalle 9 alle 21.

"Ci auguriamo che questa riapertura - sottolinea l'assessore alla cultura el Comune di Lecco Simona Piazza - possa rappresentare un primo step nel quadro di un calendario di riaperture che dovrà vedere impegnate le istituzioni culturali di tutto il territorio nazionale, per una possibile ripartenza delle attività, degli eventi, delle iniziative e delle proposte culturali. Un passo importante, perchè crediamo nel valore della possibilità, per i cittadini, di ritornare a frequentare i musei e visitare le mostre in tutta sicurezza. In questa cornice anche il Si.M.U.L. permetterà a cittadini e visitatori di godere delle installazioni permanenti e delle grandi mostre allestite nei nostri poli museali".

Lunedì, 01 Febbraio 2021 06:41

L’OMBRA DEL VENTO di C. L. Zafòn

in Cultura

 La Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.
J. L. Borges

 

Uno stile piacevole, fluido, con alcuni picchi di efficace policromìa. Un tessuto narrativo denso di fenomeni carsici che si moltiplicano in una inarrestabile cascata combinatoria. Una selva fitta di personaggi realizzati a sbalzo con decoroso mestiere. E, come è inevitabile, uno o più misteri che alla fine, solo alla fine ovviamente, vengono svelati.

Meglio: dissolti. O, se preferite, gradualmente disciolti in una soluzione ad alta concentrazione iniziale, addirittura supersatura, che dopo qualche decina di pagine inizia irreparabilmente a perdere di intensità, di peso, di colore per concludersi quando “…figure evanescenti, padre e figlio si confondono tra la folla delle ramblas, mentre l’eco dei loro passi si perde per sempre nell’ombra del vento” insieme all’attenzione di chi legge le 439 pagine del “…libro più venduto in Spagna dopo il Don Chisciotte”. Parola di Internet.
Tanto vento e niente arrosto dunque. Anche se sono numerosi i lettori entusiasti che affollano i blog nei quali ci si occupa con accenti superlativi del romanzo d’esordio di Zafòn.

Un testo che, a dispetto dei necessari ma non sufficienti meriti di cui si diceva all'inizio, si perde per strada finendo in un intrico inutilmente ingarbugliato di oscurità grandi e piccole, di arcani misteri dei quali, quando si materializza la scontata conclusione, non c’è più traccia significativa e catarticamente gratificante come ci si aspetterebbe da in ogni romanzo di genere che si rispetti. Insomma i buoni sono buonissimi; i morti sono mortissimi; i cattivi sono cattivissimi e bruttissimi (ma ci sono almeno un paio di buoni-brutti); i libri sono articoli per bibliomani compulsivi pronti a sacrificare la propria e l’altrui vita per scriverli, leggerli o distruggerli. Anche se del loro contenuto nulla o quasi si dice nella narrazione di Zafòn. E quelli più interessanti sono gelosamente custoditi nell’immensa biblioteca chiamata Cimitero dei libri dimenticati.

Dove, prima o poi, troverà posto anche il romanzo di cui si tratta qui. “L'ombra del vento”, appunto. Un libro che parla di un libro. Un meta romanzo. Ovvero un romanzo a metà nel quale buonismo e cattivismo vengono spalmati, certo con buona tecnica, sulle vicende che partono da una biblioteca che odora molto di Nome della rosa, un po’ di Borges e un tantino, ma solo un tantino, dei disegni transfiniti di Maurits Cornelis Escher: “Era un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalla geometria impossibile”. Zafòn non è Eco, né Borges, tantomeno Escher.

Il risultato è un polpettone di bell’aspetto, azzimato e profumato come si conviene, in tempi di micragnosa editoria, ad ogni best seller. C’è dentro tutto, ma proprio tutto: cuori infranti, omicidi, amicizie spezzate, tradimenti, torture e pestaggi, incendi e figli diseredati, donne sofferenti per amore, guerra civile e incivile, poliziotti crudeli e poliziotti buoni, cripte dotate di apposite bare dotate di appositi cadaveri, fughe a Parigi, capitani d’industria decaduti, la penna stilografica di Victor Hugo, vecchie dimore patrizie abbandonate alla rovina. Dovrebbe esserci anche qualche porta che cigola sinistramente ma non ne sono certo. Per capirci: un plot che piacerebbe a Dario Argento, il grande guitto horror de noantri.

Il lettore si trova così a degustare (parola grossissima) una sorta di Big Mac dal sapore indefinibile e di sospetta digeribilità le cui premesse, come abbiamo spiegato, consistono in una biblioteca gigantesca, l'importanza della quale, nello sviluppo dell'azione svanisce col procedere della narrazione. Una struttura immensa che odora “…di polvere e di magia”. Nemmeno Harry Potter potrebbe esprimere un nonsenso così banalmente perfetto. Né potrebbe lasciarsi “…trascinare in un turbine di emozioni sconosciute…” mentre il campanile della cattedrale batte… Indovinate un po’ che ora è. Difficile, no? Ma provateci uguale.

E poi ci sono i personaggi il cui spessore psicologico, senza eccezione alcuna, non supera il micron. Dopo qualche pagina dalla prima comparsa del “misterioso” individuo (adeguatamente sfigurato in volto da qualche tremendo accidente (tranquilli il mistero sarà chiarito) anche il lettore poco meno che distratto capisce di chi si tratta. E come può chiamarsi l’ispettore della policia di Barcellona cattivo e puteolente se non Fumero? Quasi onomatopeico. Sapete che fine farà? Non ve lo dico per non rovinarvi il clamoroso finale. Dimenticavo una precisazione necessaria: Zafòn non è un alias di Conan Doyle .

Insomma, per non farla lunga, “L’ombra del vento” è un agguerrito candidato per un posto d’onore all’interno del “tempio tenebroso” di cui sopra, dove si respira “…profumo di carta e magia.” come scrive Zafòn, con ispirato e illuminato lirismo, in un altro best seller, (“Il gioco dell’angelo”). Meglio, molto meglio, l’interminabile serie di J. K. Rowling nella quale, almeno, la magia non è una metafora umidiccia e maghi e maghetti cavalcano scope biturbo e ci danno dentro di brutto fregandosene platealmente della propria e altrui credibilità. Zafòn, invece, si prende molto sul serio. Un peccato mortale perpetrato in presenza certa di materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso.

Mercoledì, 27 Gennaio 2021 09:28

Un libro sospeso alla Libreria Mascari5

in Cultura

Un libro sospeso: un messaggio di solidarietà ai ragazzi dello sportello #QuindiciVentiquattro

Caffè, colazioni, pranzi sospesi, sono numerosi nelle nostre città le realtà sociali e gli esercizi commerciali che promuovono in modo innovativo e creativo questa pratica di solidarietà e cittadinanza attiva, fino ad approdare all’iniziativa “libro sospeso” della libreria sociale Mascari5, gestita dalla Cooperativa sociale La Vecchia Quercia.

2101 libro sospeso 1Organizzata in collaborazione con l'Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Lecco e il Comune di Lecco, questa iniziativa ha dato la possibilità ai cittadini di acquistare presso la libreria Mascari5 alcuni libri selezionati dagli psicologi e dagli psichiatri dello sportello #QuindiciVentiquattro, il centro coordinato dalla dottoressa Carmen Baldi e dedicato ai giovani dai 15 ai 24 anni, attivo presso il servizio giovani del Comune di Lecco e che si occupa di accogliere, valutare ed eventualmente trattare situazioni di disagio psicologico o di rischio di sviluppo di psicopatologia.

Grazie alla generosità di numerosi cittadini sono stati così raccolti e messi a disposizione dello sportello #QuindiciVentiquattro numerosi testi, ognuno dei quali riporta una “dedica sospesa” a firma dl donatore: “Ogni libro donato contiene un pensiero e un augurio che dagli adulti arriva ai ragazzi – spiega la Dottoressa Baldi - e in questo tempo di pandemia, in cui il mondo degli adulti ha chiesto tanto sacrificio ad adolescenti e giovani, appare ancor più significativo questo gesto di attenzione e sostegno nei loro confronti”.

"Questa iniziativa rappresenta a pieno lo spirito della Comunità Educante - sottolinea l’assessore alla Famiglia, Giovani e Comunicazione del Comune di Lecco Alessandra Durante –. Ringraziamo la libreria sociale Mascari5 per questo prezioso gesto di solidarietà e tutti i cittadini che hanno scelto di donare allo sportello #QuindiciVentiquattro i libri che diventeranno strumento di supporto per i ragazzi che sentono di averne bisogno. Una lettura mirata aiuta a dare un nome alle proprie emozioni, a rimettere in ordine i pensieri e formulare possibili soluzioni. Guardare da fuori la propria esperienza, magari vissuta dal protagonista di un libro, aiuta ad avere uno sguardo diverso sul proprio vissuto e a rielaborarlo in maniera più efficace. E in questo periodo i giovani hanno un grande bisogno di essere accompagnati attraverso le numerose sensazioni che la situazione che stiamo vivendo genera in loro".

"Perché - come spiega Antonella Gabriele della libreria Mascari5 - è importante contribuire con tutti i mezzi, anche quelli tradizionalmente più legati al mondo della cultura, ad abbattere le barriere che si ergono fra i giovani in difficoltà e il mondo esterno”.

[nella foto da destra Antonella Gabriele - Alessandra Durante - Carmen Baldi]

Torna anche quest'anno il World Anthropology Day, un’iniziativa promossa dall’American Anthropological Association e lanciata a Milano a partire dal 2019 dal corso di Laurea Magistrale in Scienze Etnologiche e Antropologiche e dal Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con numerosi partner pubblici e privati. Scopo dell’iniziativa è portare l’antropologia fuori dell’università e, allo stesso tempo, valorizzare i tanti antropologi e le tante antropologhe che lavorano nel sociale, nelle professioni, nelle istituzioni e nelle aziende, attraverso esempi virtuosi di attività svolte sul territorio.

Nel programma dei molti incontri previsti per il 18, 19 e 20 febbraio 2021 ci saranno anche due appuntamenti proposti dal direttore del MEAB e coordinatore di Rebèl. Ne alleghiamo le presentazioni in breve, in cui si trovano le modalità per iscriversi ai webinair.

All’interno del programma
Venerdì 19 febbraio 2021
Dalle 10.30 alle 12
si terrà un incontro a distanza, organizzato dal coordinamento della rete REBEL, dal titolo
La rete ribelle: musei deomoetnoantropologici in Lombardia. E Milano?
La Rete dei Musei e dei Beni Etnografici Lombardi (REBEL) comprende diversi musei sorti in alcune province della regione, nati come musei della civiltà contadina o delle
culture artigiane: ciò potrebbe spiegare l’assenza di istituti con sede a Milano. Ma non si tratta forse di musei della vita quotidiana? Musei delle classi popolari o musei di tutti
i ceti? Musei “del buon ricordo” o impegnati per una presenza critica? Musei locali o musei della società globale? Musei votati allo studio o musei di partecipazione?
Coordina
Massimo Pirovano, Direttore del Museo Etnografico dell’Alta Brianza di Galbiate (LC) e coordinatore della Rete dei Musei e dei Beni Etnografici Lombardi
Ne discutono
Ivan Bargna, Docente di Antropologia culturale Università Milano Bicocca e direttore di AMA/Corso di Perfezionamento in Antropologia Museale e dell'Arte
Loris Bendotti, Funzionario demoetnoantropologico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano
Michela Capra, Conservatrice del Museo “Giacomo Bergomi” di Montichiari (BS)
Fabrizio Merisi, Direttore del Museo del Lino di Pescarolo ed Uniti (CR)
Alessandra Miccoli, Coordinatrice Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord
Dove
Piattaforma Zoom
Iscrizioni
L'iscrizione all'evento è obbligatoria e deve essere portata a termine entro le 23.59 del 16 febbraio 2021. Prima dell'evento gli organizzatori invieranno il link di accesso
all'evento.
Per iscriverti clicca qui:
https://anthrodaymilano.formazione.unimib.it/home-page/edizione-2021/

 

 

Mercoledì, 27 Gennaio 2021 06:57

I Sindacati ricordano il Giorno della Memoria

È fondamentale tenere viva la Memoria per contrastare ed eliminare i pericolosi rigurgit
nazifascisti er questo siamo sconcertat e profondamente amareggiat dalla notzia degli at
vandalici sulla sede dell’Anpi a Lecco.

Non si trata della prima volta che qualcuno imbratta la targa dell’associazione con scrite ofensive, dà ancora più fastdio proprio perché accaduto a ridosso del Giorno della Memoria, in cui si ricorda la Shoah. Condanniamo fermamente questo
gesto e auspichiamo che tute le forze politche prendano le distanze dall’ato riprorevole e
provocatorio, che lede indiretamente l’immagine di Lecco, città che proprio un anno fa aveva
deciso di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, sopravvissuta al campo di
concentramento di Auschwitz.
Ricordiamo sempre che la libertà e la dignità di tutte le persone e la solidarietà tra uomini e donne
di diversa provenienza culturale e di diferente condizione sociale sono, per le organizzazioni
sindacali Cgil, Cisl e Uil, valori fondant del proprio essere e del proprio agire.

Per questo il Giorno della Memoria rappresenta il nostro impegno per costruire contnuamente e mantenere sempre
viva la consapevolezza di quest valori. Ricordiamo inoltre che un ateggiamento di passività e
indiferenza porta con sé verso il pericolo minaccioso che tuto ciò possa ripetersii
Questa giornata rappresenta l’opportunità per rifetere sul valore e sulla dignità del lavoro nella
costruzione di un progetto di libertà personale, colletvo e sociale e sul pericolo della sua
alienazione raffigurata nel lavoro coatto degli operai deportati nei campi di sterminio in seguito
agli scioperi che chiedevano pace e libertà.

La storia del movimento dei lavoratori lombardi ricopre
un posto fondamentale nella costruzione della Memoria. Gli scioperi nel Nord Italia ed in
particolare lo sciopero generale del marzo 1944, unico in Europa, di cui è stato testimone il nostro
ino Galbani, danno prova del contributo fondamentale che il mondo del lavoro ha dato all’azione
per la conquista della indipendenza, libertà e democrazia del nostro aese, fino alla realizzazione
della Costtuzione e della Repubblica fondata sul lavoro.
È importante conoscere il passato per affrontare il futuro

Le segreterie territoriali di Cgil, Cisl e Uil

Lunedì, 25 Gennaio 2021 06:24

L’OMBRA DEL BASTONE di Mauro Corona

in Cultura

“Invitati o no
gli dei
saranno presenti”

C. G. Jung

Una storia di streghe e di stregati scorre tumultuosa tra i dirupi crudi che circondano Erto. Storia di malefici e maledizioni. Di sguardi e di destini. Le righe incise su carta dalla sgorbia impugnata con grande perizia narrativa da Mauro Corona rivelano e ricordano la fatica antica del vivere in quota. Parlano, con semplicità solo apparente, di quella che viene ormai definita “civiltà alpina” i cui archetipi comuni, ben individuabili lungo l’intero arco montuoso che collega il mar Ligure alla Carnia, hanno attraversato i millenni per giungere intatti fino allo scorcio del XXI secolo.

I montanari del Vajont, spiegano le pagine gualcite del vecchio quaderno dalla copertina nera, non costituiscono eccezione. Anche le acque gelide del torrente omonimo segnano da sempre una storia che è identica dovunque siano ripidi boschi, cime innevate, prati scoscesi. Dove si strappa alla natura e ai suoi cicli infiniti tutto ciò che è possibile, tutto ciò che mira alla sopravvivenza. Dove la vita si aggrappa tenace e instancabile a sé stessa. Dove la morte appare companatico quotidiano alla mensa dell’uomo impegnato sempre, dalla prima all’ultima luce, “… nei boschi a fare legna, e nei prati a falciare l’erba, e guardare a venie l’autunno, e aspettare Natale vicino al fuoco. E anche portare San Bartolomeo di legno per le vie del paese.”

La morte, appunto. Presenza ubiqua e determinante almeno quanto la vita. Si apre infatti con un omicidio la narrazione dello scultore - alpinista - scrittore di Erto. Un delitto misterioso per il quale pagherà un innocente. Ecco il senso di tutta la storia: la tragedia, proprio quella classica, greca per intenderci. Con tanto di capro espiatorio votato al sacrificio in nome di una società dai tratti primitivi la cui sopravvivenza in quanto gruppo omogeneo e organizzato esige l’individuazione di un colpevole e una condanna purchessìa. Serpeggia instancabile la violenza di cui parla René Girard in tutte le sue opere, che sola è in grado di placare le tensioni distruttive del corpo sociale. Per questo il colpevole deve essere innocente. Proprio come la vittima. Non importa che dalla forca penzoli l’assassino. Conta che il cappio stringa una gola. Meglio se innocente. E giustizia è fatta. Il capro diventa sacro. Sacrificio: sacer facio. La violenza è il sacro. Realtà paradossale; come la vita del resto.

L’uccisione del padre di Zino è solo la prima mossa. Le morti non finiscono che all’ultima pagina. Nella storia di Zino Corona se ne contano diciannove, tutte o quasi violente. Tutte o quasi frutto di maledizione o di veneficio. Anche la follia indotta dal tossico è morte perché uccide l’anima dell’uomo immergendolo nella demenza, esiliandolo a vita fuori di sé. Come Raggio che si spegne nella pazzia per mano amica, con pozione la cui onomastica suona significativamente al femminile: belladonna.

Atmosfere cupe disegna la penna di Corona. All’ombra delle crode, al cospetto delle grave del Vajont, si muovono numerose figure inquietanti e pericolose, infide e temibili come fate malvagie. Sull’intera narrazione si libra infatti il fetore pesante del maleficio opera di donne - streghe. Anche se, in questo caso, non ci sono roghi a “purificarle”. Cinque secoli prima a poche decine di chilometri da Erto come altrove “Le donne delle vallate alpine sono state tra le più perseguitate in Europa: fra quest le streghe dello Sciliar processate nel castello di Presule nel 1506 e 1510” (AA. VV: “La lunga notte della magia”, Workshop. Trento 1995). Le righe di Corona trasudano concrezioni dure di quei tempi, di quegli eventi.

Maddalena Mora, la “maestra” in materia di giochi sessuali, è la prima ad apparire sulla scena. Ed è anche la prima a lasciarla per autoimpiccagione. Non del tutto strega ma completamente donna. L’aborto di cui si macchia è rito satanico e imperdonabile e “chi copa deve coparsi”. Maddalena possiede almeno uno degli elementi che hanno caratterizzato le streghe per tre secoli: ha commesso infanticidio. E, come è noto, al banchetto - orgia del sabba, esse “…portano i bambini da sacrificare ovvero i corpi dei bambini che hanno già ucciso, che vengono offerti in sacrificio al Diavolo…” (Jeffrey b. Russel, “Il Diavolo nel Medioevo – Nominalisti, mistici e streghe”; Laterza, 1987).
Dopo Maddalena Mora c’è Melissa, la vecchia Melissa, esosa e sfruttatrice dei falciatori ai quali succhia denaro in cambio di una grotta, l’”antro” nel quale dormire la notte durante la fienagione ai pascoli alti. Fa una brutta fine la rapace Melissa. La sua maledizione postuma produce quattro morti. È certamente una “stria”. C’è, inoltre, ma solo nominata, la “stria del baugo” che fa “…lo strionamento perché non gli avevano dato un tocco di butirro”.

La strega più pericolosa uccide però con lo sguardo. Corona la introduce nella narrazione descrivendone i tratti ma non ne pronuncia mai il nome: “…una di San Martino, una donna non tanto alta però coi fianchi larghi come una cavalla, forte e lavoratrice, giusta da far figli”. Ecco tutto quel che c’è da sapere sulla “moglie di Raggio” e sulle donne in genere. O, almeno, quasi tutto, perché il tratto essenziale, il segno che la marchierà per sempre è il silenzio: “Solo che parlava poco, era sempre misteriosa e stava per conto suo...”. L’epitaffio è bell’e pronto. Il futuro si fa presente in queste brevi righe. Un futuro assolutamente fatale nel quale compare anche l’aborto come per Maddalena Mora. “Lei”, perfetta incarnazione della catastrofe, uccide il figlio di Zino che porta ancora in grembo e, come le sirene di Ulisse, uccide ma, a differenza di quelle, con lo sguardo: “…lei, la nuova sposa, mi guardava”.

Annuncio tragico eppure inevitabile: “Ancora non immaginavo che da quelle guardate (…) sarebbe cominciato tutte le mie disgrazie”. Raggio riesce persino a sopravvivere al morso venefico della “lipera”. Ma non sopravvivrà allo sguardo della moglie - strega che “Non apriva mai bocca…” perché, “… mandava segni coi occhi, parlava con quei occhi che ti strascinavano verso di lei…”. Gli occhi, lo sguardo che attrae, che mette in ceppi e avvince più dell’esibizione di parti anatomiche eroticamente significative. La donna è dunque, insieme, Morgana, Medusa, Medea e Melusina, quadruplice radice del mondo governato dalla Dea Madre che ci costringe da sempre come spiega James Hillman“…a riconoscere il perdurare degli dei non più nell’ossequio di corpi e anime ai rituali, ma come ‘malattie psicologiche…” della carne, dell’anima, della società.

Morgana “nata dal mare, che sempre ci illude e ci inganna; Medusa dai capelli di “lipera”, paralizza con lo sguardo; Medea, la virgo cruenta di Draconzio, la maga di Euripide, uccide i propri figli per vendicare il tradimento e Giasone - Zino si toglierà la vita; Melusina, infine, simbolo dell’inconscio, fata ambigua dalla coda di serpe, immagine femminile che soccorre ma che, come Morgana, spesso inganna. L’opera al nero declina dunque al femminile tra le grave del Vajont. Ecco la “donna selvaggia” di Corona che, figura archetipica del vivente, incarna la mater aeterna. Mater: materia come origine e forma elementare della vita, fenomeno panico irrazionale di cui l’uomo prova terrore. Panico, appunto. Nasce qui ogni caccia alle streghe che la storia ricordi. Le streghe, incomprensibili creature del male, vanno eliminate. Producono sempre orge, incesto, infanticidio, omicidio. Nel romanzo di Corona muoiono spesso per mano propria o altrui. Solo le fate sopravvivono. Ma sono infanti (come Neve) o appartengono alla pianura, come l’ultima donna di Zino. Dunque a un altro mondo dove l’amore è possibile quando non sia troppo tardi. Fra i monti vivono solo fattucchiere e megere. E regna il loro sguardo terrificante.

Corona emerge dalle nebbie pesanti e gelide del Vajont come cantore dell’immaginario popolare che per essere tale non è meno vero del mondo duro e roccioso nel quale lungo i millenni si svolge tutta la vita degli ertani. Una vita che, come altrove nelle valli alpine, si identifica spesso nella ritualità operosa legata ai ritmi arcaici della natura, più frequentemente matrigna che madre ma pur sempre origine ab antiquo della sacralità del vivere e del soffrire. Dove spesso l’assidua dedizione alle lusinghe ottundenti di Bacco costituisce rimedio essenziale contro “…malinconia, ipersensibilità, pazzia, ossessione orrendi gorghi nel mare gelido, antiche case dirute e fatiscenti” (Guy Davenport: “La geografia dell’immaginazione”. Adelphiana. www.adelphiana.it; 2002). Rappresentazione baroccamente perfetta dell’universo descritto da Corona. È sempre la donna, arcaico mitologema del mondo, a portare la colpa del peccato poiché “Nella cultura chiusa, misogina e tremenda del paese, le cose magiche e sublimi, ma anche infide, traditrici e impossibili da dominare, diventano femmina” (Mauro Corona, “Le voci del bosco”; Ed. Biblioteca dell’immagine; collana Chaos).

L’uomo, debole schiavo, si lascia travolgere dalle donne che sono quasi sempre un po’ streghe, un po’ puttane. Comunque facitrici di eventi mortali che sconvolgono Erto, Macondo nostrano dominato dal respiro tagliente delle crode tra le quali si aprono orrendi Maelstrom chiamati foibe. Voragini tenebrosamente mitiche rappresentano un Ade locale che erutta “…un’aria fredda e svelta (…) che pareva avere dentro come voci di lamenti…”. Abissi pronti ad inghiottire delitti e vittime come Raggio e la vecchia dell’antro. Ma non per sempre: Melissa ritornerà in una bara di ghiaccio dalla quale spalanca gli occhi: “Era uno sguardo diretto, fermo, cattivo, duro. Uno sguardo feroce, insostenibile”.

Riemergerà anche lo scettro ligneo di “re Raggio”, con la “lipera” scolpita in basso, a determinare l’esito infausto della storia di Zino. Il bastone, il suo segno: “Dalla foiba del monte Cornetto aveva attraversato le budelle nere della terra, lungo i torrenti sotterranei dell’inferno…”. Per portare a compimento la legge: “chi copa si deve copare”. Lungo tutto il testo scorre una inconfondibile “linea gotica” che sembra conservare un debito ai paesaggi spettrali di Poe e di Lovecraft. Più al secondo che al primo.
Tutto finisce con la morte. Zino, dopo aver cercato invano di fuggire e di “…dimenticare un poco quel cane che mi correva dietro sulla terra e mi mordeva la vita di continuo, giorno e notte”, trova la pace in un cappio.

I Musei Civici di Lecco ( SiMUL ) stanno ultimando l'allestimento della " Sezione Separata d'Archivio " nella ex palazzina Maternità del Politecnico che comprende numerosi Fondi tra cui " Sottoprefettura " " Famiglia Badoni" e soprattutto "Archivio Tecnico Badoni " costituito da centinaia di migliaia di disegni industriali, progetti , documenti , lastre fotografiche che vanno dalla fine Settecento agli anni ottanta del Novecento , quindi uno dei più importanti Archivi d'Impresa italiani .

L' importante Archivio e il Capannone Industriale Neogotico di corso Matteotti sono stati salvati all'ultimo momento dalla completa distruzione circa 35 anni proprio dai Musei Civici che hanno conservato i fondi fino ad ora in collocazioni provvisorie outsurcing. Un lungo impegno che raggiunge finalmente il suo risultato .

E un grazie all' Assessorato comunale alla Cultura e ai Musei di Lecco che stanno attuando e dirigendo tutta l'operazione con soldi propri e che hanno per 30 anni conservato questo grande Patrimonio , sempre con fatica e scarsissime risorse

Sabato, 23 Gennaio 2021 17:05

I SAVOIA E LA GIORNATA DELLA MEMORIA

in Cultura

La lunga lettera che l`ultimo discendente dei Savoia, Emanuele Filiberto, ha inviato alla Comunita` Ebraica Italiana, in occasione della Giornata della Memoria che si celebrera` il 27 Gennaio come ogni anno, riapre questioni antiche.

"Scrivo a voi, fratelli ebrei, nell'anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, a memoria perpetua di una tragedia che ha visto perire per mano della follia nazi-fascista 6 milioni di ebrei europei, di cui 7500 nostri fratelli italiani -scrive Emanuele Filiberto-. E' nel ricordo di quelle sacre vittime italiane che desidero oggi chiedere ufficialmente e solennemente perdono a nome di tutta la mia famiglia."

"Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile per la mia Famiglia, una ferita ancora aperta per l’Italia intera".

"Condanno le leggi razziali - prosegue il Principe - nel ricordo del mio glorioso avo Re Carlo Alberto che il 29 marzo 1848 fu tra i primi Sovrani d’Europa a dare agli italiani ebrei la piena uguaglianza di diritti. Condanno le leggi razziali nel ricordo dei numerosi italiani ebrei che lottarono con grandissimo coraggio sui campi di battaglia dell’Ottocento e del primo Novecento da veri Patrioti."

Se alla fine dell`Ottocento, quando diede scandalo in tutta Europa l`"Affare Dreyfus" , in Francia, e qualcuno si invento` i "Protocolli di Sion" (una supposta congiura ebraica per prendere il potere nel mondo) una certa diffidenza verso gli Ebrei esisteva, la loro entusiastica partecipazione alla I Guerra Mondiale su fronti dolomitici e sul Piave ristabili` quella profonda alleanza che invero mai in Italia era stata messa in discussione (non c`erano mai stati in Italia i "Pogrom" e i massacri di Ebrei che avevano caratterizzato i paesi del Nord Europa, Polonia e Germania, o anche in Spagna, in particolare nel Medio Evo).

Lo stesso Mussolini, da giovane, ne prese atto: lui che poi doveva essere piu` che grato a una ricca e colta signora ebrea, Margherita Sarfatti, che fu per molti anni una sua amante, e che lo introdusse nei primi anni quando era a Milano, spiantatissimo e senza una lira, prima come direttore dell`"Avanti" poi del "Popolo d`Italia", negli ambienti e nei salotti che contavano davvero.

Molti furono gli Ebrei, ricchi e proprietari di fabbriche, che anzi all`inizio aderirono con convinzione al nascente Fascismo (su questo argomento consiglio l`ormai introvabile libro di Renzo de Felice, "Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo").

Che in Italia esistesse una "questione ebraica" e men che meno razziale, in quegli anni non lo sospettava nessuno.
Lo stesso Cesare Lombroso, uno spiritato genetista che individuava nelle fisionomie del volto alcune caratteristiche non solo genetiche ma comportamentali, in quegli anni piu` che con gli Ebrei, dal naso aquilino, se la prese con i Sardi, colpevoli di avere una fronte troppo alta, e quindi secondo lui portati a diventare dei criminali !

Cambio` tutto nella seconda meta` degli anni '30: l`alleanza con la Germania, abbandonando l'Italia i vecchi alleati della I Guerra Mondiale, e una nuova amante per il Duce, la allora giovanissima  Claretta Petacci al posto della Sarfatti, che nel 1938 dovette mestamente andarsene in Brasile ma scampo` agli avvenimenti successivi, portarono il Duce a voler imitare le pazzie del Fuhrer tedesco.

Le "Leggi Razziali" del 5 Settembre 1938 furono certamente una vergogna, che comporto` sacrifici pesantissimi per i circa 40.000 Ebrei che all`epoca vivevano in Italia : non potevano piu` lavorare ne` come impiegati pubblici ne` come altro, non potevano commerciare, sposarsi con un italiano/a, e molto altro.

Scimmiottavano una "teoria della razza" che in Italia, paese da sempre invaso da tantissimi popoli di ogni origine etnica, a partire da Fenici, Ostrogoti, Longobardi, Arabi e molti altri) era particolarmente ridicola : gia` aveva poco senso in Germania, dove pero` forse c`era una maggiore omogeneita` etnica.

Ma la sua conseguenza piu` grave, pochi invero lo ricordano, fu un'altra: quando i Tedeschi guidati dal FeldMaresciallo Kesserling invasero l`Italia, dopo l`8 Settembre del 1943 ("Operazione Alarico") nei cassetti dei Comuni e delle Aministrazioni locali (insieme alle Leggi razziali era stato emanato un Censimento degli ebrei italiani) trovarono belli e pronti lunghi documenti ed elenchi di famiglie ebraiche  residenti in Italia, con tanto di Nome Cognome e Indirizzo.

Per gli ufficiali delle SS naziste fu quindi molto facile preparare i camions e andare a prenderli per caricarli ignobilmente su dei treni piombati: destinazione Mathausen !

 

 

 

 

Sabato, 16 Gennaio 2021 06:30

RIPUBBLICATO "SUICIDIO A FIOR D`ACQUA"

in Cultura

Siamo lieti di annunciare che è disponibile in libreria il romanzo di Antonio Ghislanzoni, Un suicidio a fior d'acqua, edito (2021) dalle nostre Polyhistor Edizioni a cura di Franco Minonzio, annunciato a Natale. Come nel caso del volume La descrizione del Lario di Paolo Giovio, atteso a novembre e pubblicato a dicembre, anche in questo caso abbiamo scontato le criticità editoriali prodotte dalla pandemia, non solo nella produzione materiale, ma anche nel confezionamento e nella consegna. In questi tempi la pazienza e il realismo sono virtù civili, e noi siamo molto contenti che questo libro, nel quale crediamo, abbia visto la luce.    

Un suicidio a fior d’acqua, edito a Milano in due volumi presso Redaelli nel 1864, è un romanzo di Antonio Ghislanzoni (1824-1893) interamente ambientato a Lecco, luogo ancor oggi riconoscibile, tra l’albergo della Croce di Malta e il Teatro Sociale, tra contrada Larga (oggi via Cavour) e il Caldone, tra il Lazzaretto e la Maddalena, tra il Caleotto e Germanedo. Arturo Leoni, figlio diciottenne di un commerciante di Milano, viene mandato a Lecco a fare pratica di commercio. È un idealista che vive deformando la realtà, fra desiderio d’amore e pulsione di morte. Sul modello romantico dell’amore-passione, si innamora della bella Olimpia Sardi, donna sposata, matura ‘diva’ di provincia, cinica e calcolatrice: un amore impossibile, e al prevedibile rifiuto di lei, Leoni decide di darsi la morte.

Lo salverà un amico, alter ego di Ghislanzoni, che gli farà sperimentare, tra gli ambigui bagliori del Carnevale, un feroce disinganno dalle illusioni giovanili. Della educazione sentimentale di Arturo fa parte il disvelamento della grettezza soffocante e sordida di quel mondo provinciale: dove la rispettabilità è il denaro, il sapere è nulla, un suicidio è occasione per divinare numeri del lotto. E il lavoro di molti ha come meta farsi vedere a oziare ai tavolini del caffè, sulla piazza centrale, tagliando i panni addosso alla gente: «facevano la rassegna dei passanti con quel fervore di malignità, che i cittadini meglio organizzati non sanno ancora uguagliare». Un’immagine feroce di Lecco, e di chissà quante città di provincia, della quale i conterranei non furono grati a Ghislanzoni. Questa è la prima edizione del romanzo dopo il 1888.  

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