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Pubblicato in Cultura

LE PESTILENZE IN VALSASSINA E NEL LECCHESE

Sabato, 27 Marzo 2021 07:35 Scritto da  ELIO SPADA

 Le epidemie o, come si diceva un tempo, pestilenze, rappresentano una costante comune a quasi tutte le latitudini. Quella che stiamo vivendo è soltanto la forma patologica più evidente di quel fenomeno chiamato globalizzazione che, osannato da alcuni e condannato da altri, appare ormai come una realtà difficilmente modificabile. Anche la Valsassina, inevitabilmente, subisce la diffusione quotidiana fortunatamente (fino ad ora) moderata del contagio.

Ma oggi, a differenza del passato, possediamo presidi medici in grado di combattere efficacemente gran parte delle patologie ad andamento epidemico. Si tratta quasi sempre di zoonosi, malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo. L’elenco è interminabile: dall’Aids all’aviaria, dall’ebola alla peste propriamente detta, al tifo cosiddetto petecchiale perché veicolato dai pidocchi. Per finire con la presente pandemia, trasferita all’uomo da una specie animale per ora non individuata con certezza, si tratti di pipistrelli, pangolini o altro ancora.

Anche la storia della Valsassina, come del resto quella della Penisola e dell’intera Europa, è punteggiata dalle bandierine rosse di epidemie di varia natura che si sono succedute nei secoli. A partire da quella che nella seconda metà del Quattrocento indusse i bellanesi ad inviare una supplica alla duchessa Bianca Maria, vedova di Francesco Sforza. L’episodio è riferito insieme ad altri, in un testo dello storico pasturese Andrea Orlandi (1869 - 1945) apparso sul periodico lecchese “All’ombra del Resegone”, nel numero di gennaio - febbraio del 1930. Nel saggio dell’Orlandi a conferma dell’evento epidemico, viene riportato l’inciso: ”…nel tempo de la peste, che fu nel MCCCCLI, esendo peste anchora in Bellano, esendo tuta la Valsaxina marchesca...”.

Il documento originale, custodito presso l’Archivio di Stato di Milano, spiega l’Orlandi, venne redatto “fra l’8 marzo 1466 e il gennaio 1468.” Dal che si deduce, in assenza di altre attestazioni documentali, la presenza in Valsassina della peste. Si tratta probabilmente di una delle ondate (termine con il quale abbiamo ormai stabile consuetudine) della peste nera (o di qualche sua variante) diffusa in Europa a partire dalla metà del XIV secolo, e tornata a manifestarsi saltuariamente fino al Seicento inoltrato. Una patologia epidemica (ma spesso pandemica, diffusa in quasi tutta Europa) prodotta tipicalmente dal batterio yersinia pestis, denominato fino ai primi anni Cinquanta “pasteurella pestis” così chiamato in omaggio al grande microbiologo francese Louis Pasteur. Va sottolineato, per amor di precisione, che all’epoca dei fatti di cui si parla, e a maggior ragione nell’antichità, gran parte delle epidemie venivano classificate come “peste” tout court. Si pensi a titolo di esempio che la tristemente famosa peste di Atene che secondo Tucidide fece migliaia di vittime nell’Atene del V secolo prima di Cristo, fu probabilmente un’epidemia di vaiolo.

Tornando a noi, che quella di cui ci stiamo occupando fosse vera e propria peste non dubita l’Orlandi il quale, nel testo che ci interessa, riferisce che una lettera ducale “al podestà di Lecco, data «in flumine Padi», ossia dal fiume Po, il 7 luglio 1472, parla di peste in modo non equivoco, intendendo quel magistrato - «fare observare certi ordini per la peste seguita in la nostra val Saxina».

Proseguendo nell’esplorazione cronologica delle pestilenze in Valsassina, si scopre che qualche decennio più tardi, nel 1524 e nel 1576 a Premana, due nuove pestilenze, mietono molte vite. Circostanze che sarebbero confermate dai dati recuperati negli archivi comunali da Carlo Gianola, in base ai quali, riporta l’Orlandi, si deduce che nel paese dell’alta valle il morbo “produsse numerose vittime come attesta la diminuzione degli abitanti: 663 nel 1571, ridotti a 500 nel 1583.” Inoltre, come osserva il nostro autore, in un documento dell’epoca si riporta che nel 1577 l’allora Muggiasca, (attualmente Vendrogno) “pagò lire 280, soldi 7, denari 6, richieste dal Magistrato di Milano sopra un avviso di totali scudi 4000 per la peste dell’anno precedente; nonché lire 187 in seguito a ordine del Tribunale della Sanità, per le spese fatte sopra i porti. Vuolsi temere che tale reparto non rimanesse unico: ma che ci fosse stata o meno in Valsàssina la peste, neppure una parola.”

Sul fatto che fra il 1524 e il 1571 in valle si sia diffusa una vera e propria epidemia non sussistono dubbi poiché anche Pasturo paga un pesante obolo al contagio, come viene attestato in un registro parrocchiale nel quale si elencano i 69 “morti dalla pesta nel 1577 in Venetia”. La coincidenza delle date potrebbe convalidare la presenza della peste a Premana nello stesso periodo. Per quanto riguarda i decessi di Pasturo, si tratta forse di “emigranti” trasferitisi, per lavoro o altre necessità, in territorio della Serenissima e non troppo lontano da casa visto che il dominio di Venezia si estendeva dalla Laguna alle terre bergamasche confinanti col territorio valsassinese orograficamente definito; dunque anche alle valli Taleggio e Averara. Si trova conferma di questa geografia politica anche nei testi dell’introbiese Giuseppe Arrigoni, il maggiore fra gli storici locali, il quale riporta che nel 1450 Carlo Gonzaga, duca di Milano strappò la Valsassina a San Marco, compreso “l’ultimo asilo de’ Veneti, la rocca di Bajedo”.

Il nuovo assetto dei confini fra Milano e Venezia viene confermato nel 1454 con la pace di Lodi “restando a San Marco le valli d’ Averara e di Taleggio, da quel punto per sempre staccate dalla Valsassina.” In altri termini non è da escludere che la pestilenza, anche se assente dal territorio di Pasturo, ne abbia comunque colpito con esito fatale alcuni abitanti come riportato dal registro parrocchiale: “41 uomini, 8 donne, 20 ragazzi, tutti parrocchiani locali, cioè di Pasturo e di Bajedo.” Ma, sottolinea l’Orlandi, il registro “non fa cenno della peste in paese, che forse fu risparmiato”. I dubbi permangono visto che il libro parrocchiale risulta incompleto principiando dal maggio 1575 ed “essendone smarrito un fascicolo di data precedente”. Proprio il periodo nel quale, come abbiamo visto, la pestilenza dilaga a Premana.

Va comunque osservato che non tutti gli episodi epidemici valsassinesi sono stati registrati nei documenti comunali o parrocchiali. Infatti, nel testo pubblicato su “L’ombra del Resegone”, L’Orlandi riferisce nell’incipit che “I valsassinesi accennano vagamente a micidiali pestilenze di secoli remoti e imprecisati: a Pasturo dicono che una volta ne scamparono soltanto quattro uomini, che poi andarono a Esino a prendere moglie; qualcosa di simile vien ripetuto in altri paesi”. Che di un morbo talmente devastante da lasciar sopravvivere solo quattro abitanti del paese nessun documento fornisca notizia, ci pare eventualità, più che improbabile, incredibile.

Concordiamo dunque con l’autore sulla “vaghezza” dei riferimenti e non ci sentiamo di accettare in toto le cifre citate in questo caso dall’Orlandi. Ma che la peste sia dilagata in tutto il territorio lecchese anche nel corso del XV e XVI secolo sembra non vi siano dubbi. Ne è convinto anche lo storico Angelo Borghi, che, riferendo delle decime dovute alla famiglia Della Torre, ricorda “il gravame della peste, già serpeggiante in Milano e Lecco nel 1400” (A. Borghi, “I paesi della Grigna. Episodi dello sviluppo di Pasturo”, pag. 304; Lecco, 1995).
Di altre, successive epidemie tratteremo prossimamente. In particolare riferiremo della peste cosiddetta bubbonica, descritta da Alessandro Manzoni nel suo capolavoro, morbo che devastò l’Italia e l’Europa attorno al 1630. La Valsassina non fu risparmiata.

parte 1 di 3

 

 

Ultima modifica il Sabato, 27 Marzo 2021 07:41
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