Gesù annuncia il regno, racconta e testimonia che Dio ci sta amando. Lo fa con Parole e gesti. La gente lo ascolta volentieri, le sue parole sono autorevoli…si vede che annuncia ciò che profondamente vive. E si prende cura di chi sta ad ascoltarlo. Li accoglie nel suo cuore e si prende cura di loro preoccupandosi anche della loro fame. E con Parole e gesti fa capire a tutti che lui è colui che sazia ogni tipo di fame, perché lui stesso ha fame. Ha fame di regalarci la verità di Dio come Padre che non trascura i suoi figli, anzi stravede per loro. Ha fame di essere in comunione con tutti, di dire a tutti che meritano ai suoi occhi il dono della sua stessa vita. Ha fame di risollevarci dalla disperazione, di strapparci dalla solitudine, di aiutarci a dare senso a tutto, persino al dolore a volte assurdo. Ha fame anche di sorrisi, di “simpatia”, di “abbracci”.
È bellissimo il fatto che vuole coinvolgere i suoi discepoli in questa sua fame. Ce la si trova addosso se si vive in comunione con lui, se si ascolta davvero la sua parola e si cerca di comprenderla facendola, se si prova a vedere con i suoi occhi la folla che non possiamo evitare di vedere. Così si può anche fare qualcosa che permette il miracolo. “Date loro voi stessi da mangiare”. Basta non trattenere, basta condividere quello che si ha. Basta non mandare via nessuno, non delegare.
La solennità del Corpo e del Sangue del Signore solitamente in tutte le comunità cristiane è arricchita dalla pratica di devozione popolare della processione eucaristica.
Gesù ci porta per le strade delle nostre città. Ci porta dove lui è già! Non siamo noi a portarlo per le nostre strade tra le nostre case per testimoniare la nostra fede nella sua presenza nel dono dell’eucaristia. È lui che ci vuole lì dove lui sta già amando come suoi discepoli che desiderano fare altrettanto, uomini e donne che desiderano dare vita al mondo mettendo a disposizione del Vangelo la propria vita. Non è facile stare al passo di Gesù, amare come ama lui, andare dove va lui…si dona a noi come pane del cammino.
Chiamiamo il nutrirci dell’eucaristia “santa comunione”. Lui è il Dio che si è fatto vicino e vuole stare sempre con noi, nella nostra vita. Noi vogliamo stare con lui, custodirlo nel nostro cuore, essere in comunione con lui ma volgiamo anche essere in comunione con tutti coloro per i quali lui stesso ha dato la vita.
Durante le nostre processioni possiamo camminare e guardare e pensare: io voglio essere con te, voglio essere un dono per te, perché tu abbia più vita, voglio arricchirmi di te, della tua bellissima umanità. Voglio renderti più leggero il cammino, voglio condividere tutto con te. Mi piacerebbe camminare con te e con te costruire un mondo diverso, un mondo di figli e di fratelli.
Vangelo della seconda domenica dopo Pentecoste – Per sei volte nel brano di Vangelo di questa domenica ricorre il verbo “preoccuparsi”. Il numero sei nella scrittura è per così dire il numero dell’uomo. Nel primo capitolo della Genesi è raccontato che il sesto giorno è stato creato l’uomo. Il settimo giorno è il giorno della comunione tra uomo e Dio, il giorno del riposo. L’uomo (6) è desiderio di Dio (7), la sua vita è attraversata da una tensione meravigliosa verso la pienezza della gioia che è la comunione con Dio. Il Vangelo di oggi ci aiuta ad essere consapevoli del fatto che proprio per questo è facile vivere “preoccupati”. Non è in noi la pienezza della vita, in noi abita il desiderio di questa ma questa ci è donata nella comunione con Dio. Se ci dimentichiamo di questo è facile inciampare in preoccupazioni che a volte tolgono il respiro. Diventano ansie che disturbano, a volte consumano e distruggono. Possiamo essere aiutati a vivere.
Ma come facciamo a non preoccuparci? Di noi, di chi ci sta accanto, dei giovani, dei piccoli, degli anziani, e delle sorti del mondo? Come è possibile? Come non preoccuparsi del rispetto della dignità di ognuno? Del lavoro dei giovani? Degli equilibri sociali? Della bellezza così minacciata del creato? Della evangelicità della chiesa?
Potrebbe anche andar bene a molti di noi l’esortazione di Gesù al non affannarsi, ma come è possibile a chi è meno fortunato, chi ha meno possibilità, chi è povero, chi ogni giorno sente tremendamente che la sua vita è in pericolo?
E in altri brani di vangelo non è Gesù stesso che invita a prendersi cura di altri, di preoccuparsi per loro fino a donare generosamente se stessi. Con molte parole Gesù ci sprona, ci scuote, ci sveglia. Non c’è tempo da perdere, dobbiamo amare, fare, prenderci cura.
Il dono di questo brano forse sta nella distinzione tra il giusto preoccuparsi e l’ansia che divora, consuma, distrugge, che fa commettere errori e crea separazioni.
E per evitare l’ansia Gesù ci regala la sua esperienza. Chissà quante volte Gesù passeggiando per strade, sentieri, mulattiere si è guardato attorno, si è fermato, ha ammirato, contemplato tutti i segni della cura di Dio per le sue creature. Lo immagino sereno, davvero felice alla constatazione che tutto poi può essere apprezzato, gustato solo dagli uomini. Poteva dire: “tutto, tutta questa cura, tutta questa bellezza è per me, per noi”.