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La bici da corsa c’è. Però è fuori campo. L’ho esclusa perché siamo appena arrivati a Gallino di Pagnona risalendo la Valvarrone. E adesso se la guardo, la bici intendo, mi viene un po’ di nausea. Davero, con una “v” sola, come dicono a Roma. Ne metto soltanto una per risparmiare fiato. Allora mi concentro sullo smartphone e cerco l’inquadratura migliore. Ma è difficile. Le mani vibrano. O meglio: tremano. Insomma non ne vogliono sapere di star ferme. Scattare foto quando si ansima è un problema.

L’istituto alberghiero di Piazzo, che si staglia netto sulla destra dell’immagine, sembra quasi di toccarlo. Pura illusione. Pallida chimera. Esangue miraggio in un ripido deserto boscoso. Per raggiungere Piazzo e la fine della salita mancano ancora cinque o sei chilometri. E c’è ancora lo strappo di Pagnona da superare. Un miraggio, appunto. Che assume concreta realtà dopo più di mezz’ora. Trentatré minuti per fare cinque km. Ma adesso c’è solo discesa fino a Taceno. Sono partito da casa alle 7.34. Infilo la chiave nella toppa alle 10.50. Una domenica (mattina) bestiale. Però sono ancora vivo.