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Pubblicato in Storie di Vita

A BAGHDAD, TRA L'HOTEL BABYLON E IL RICORDO DI FABRIZIO QUATTROCCHI

Giovedì, 27 Maggio 2021 21:02 Scritto da  Alessandro Ceresa

Alessandro Ceresa, livignasco, nella vita attuale è dottore commercialista e tributarista, nonchè socio della Ceresa srl, società che organizza, tra altro, la Sagra delle Sagre. Ha un passato da giornalista freelance che lo ha portato sugli scenari di guerra più importanti (e pericolosi). Pubblichiamo questa sua intervista frutto dell'incontro a Baghdad all'inizio di febbraio 2009 con un iracheno che aveva lavorato con Fabrizio Quattrocchi. La data è importante. L'articolo, inedito, fornisce anche una fotografia della città durante la guerra. 

Baghdad, 6 febbraio 2009

Fabrizio Quattrocchi fu ucciso nel 2004 in Iraq da esponenti del gruppo islamista Le Falangi Verdi di Maometto.

Salvatore Stefio, Maurizio Agliana e Umberto Cupertino, gli altri contractors italiani rapiti assieme a lui, furono liberati da un raid delle truppe statunitensi, dopo quasi due mesi di prigionia.

L’omicidio di Quattrocchi lasciò dei dettagli insoluti. "Fabrizio fu colpito alla testa. I rapiti furono fortunati se gli iracheni uccisero solo uno di loro. Accadde anni fa". Jassen (“Jason”, in inglese) mi fornisce queste informazioni in un’auto ferma davanti al checkpoint 3 dell’International Zone di Baghdad. Il fotografo americano che ho accompagnato nella zona rossa, verso Sadr City, gli fa appoggiare la rivoltella sul cruscotto della Ford e la fotografa.

Jassen è iracheno ed era stato uno dei compagni di Quattrocchi e di Stefio presso l’agenzia per cui lavoravano gli italiani. Jason è quindi stato arruolato dalla polizia di Baghdad. Ha 45 anni, circa, i capelli color rame e i baffi. Indossa un giubbotto nero.

"Lavoravo per una compagnia di sicurezza privata, formata da managers iracheni e americani - spiega - e proteggevamo degli statunitensi e procuravamo dei dollari per gli iracheni. Dovevamo proteggere differenti posti: l’Hotel Babylon, il Ministero degli Affari Esteri, l’International Zone. Oltre a Fabrizio, c’erano Cris, Paolo (probabilmente Paolo Simeone, n.d.r.) e Valeria (Castellani), la fidanzata di Paolo, che parlava un ottimo inglese. La nostra base era all’Hotel Babylon. Potevamo disporre della piscina e del ristorante. L’Iraq era pericoloso nel 2004. La situazione si deteriorò per colpa degli attacchi dei miliziani. Gli italiani mi fornirono un’arma e mi mostrarono delle immagini di quando erano in Italia, nei nightclubs. Li portai a mangiare a casa mia. Partirono dopo pochi giorni. Finirono il periodo del proprio contratto e decisero di tornare in Italia. Erano guardie del corpo per statunitensi. Domandarono a un iracheno, Abu Haider, di procurare delle jeep Chevrolet. Io dissi loro di non andare verso la Giordania. Paolo decise di viaggiare tramite la Giordania. Seppi dell’uccisione di Fabrizio da un’impiegata americana, che uscì dal Ministero degli Affari Esteri piangendo. Disse che Fabrizio era stato ucciso…".

Jassen conferma inoltre l’esistenza di squadre della morte, poste sotto la gestione governativa e agli ordini del Ministro dell’Interno Bayan Jabor, attive durante la prima fase dell’occupazione Usa.

Operando sotto lo stemma dei servizi di sicurezza dei Ministeri dell’Interno e della Difesa, utilizzando camionette e armi, i componenti degli squadroni sfruttarono il proprio ruolo ufficiale per arrestare, imprigionare, torturare e uccidere persone nell’ambito degli scontri tra sciiti e sunniti. Bayan Jabor assunse l’incarico di Ministro delle Finanze nel governo di Nouri al-Maliki. Esiliato durante la dittatura di Saddam, Jabor, uno sciita, si vendicò, probabilmente, delle angherie subite. Non fu l’unico. Le squadre della morte causarono centinaia di vittime, trovate ammanettate nei sobborghi di Baghdad. Il partito sciita per la Rivoluzione Islamica, Sciri, dispose ampiamente dell’azione dei killers e dei miliziani della Brigata Badr.

Conoscevo bene l’Hotel Babylon. Era stato il primo albergo in cui soggiornai dopo essere arrivato a Baghdad all’inizio del mese di dicembre del 2008. Mi ricordo la sparatoria nel quartiere che riuscì a filmare non appena arrivato in camera. L’Hotel Babylon, come la maggior parte delle strutture ricettive della città, era nella zona rossa, nella Red Zone, dove non c’era nessun controllo. Verso l’imbrunire, dopo aver girato per la città durante tutto il giorno, mi piaceva sedermi di fronte all’ingresso dell’albergo, davanti ad uno dei negozietti che costeggiavano la via, per bere una bibita e fumare qualche sigaretta. Vedevo uomini vestiti di nero che fermavano le loro auto al margine della strada. Sospettavo che potesse trattarsi di miliziani.

Il giorno dopo aver incontrato Jassen, tornai all’Hotel Babylon. Nella hall, chiesi ad una delle guardie di poter parlare con il direttore. Volevo notizie riguardanti Fabrizio Quattrocchi. L’uomo lasciò la sua pistola sul tavolino e si allontanò. Dopo pochi minuti, tornò e mi disse che non c’era nessuno che avesse informazioni. Nel frattempo, un suo collega mi aveva offerto una bottiglietta d’acqua, che bevvi rapidamente. Rientrai quindi al mio alloggio attraversando Baghdad nella consueta, magica, tetra, spettacolare atmosfera che la città in guerra assumeva di notte.

Un anno più tardi, alla fine di gennaio del 2010, l’Hotel Babylon fu obiettivo di un attacco terroristico condotto con un’autobomba, nell’ambito di una serie di attacchi coordinati che insanguinarono le strutture alberghiere della capitale irachena, a poca distanza di tempo dall’esecuzione della condanna a morte di Alì il Chimico, uno dei più stretti collaboratori di Saddam Hussein. Gli attentati causarono 36 morti e un’ottantina di feriti. Nel 2015, l’Isis rivendicò un altro attacco al Babylon. La bomba scoppiò nel parcheggio e fu seguita da un’azione analoga condotta contro l’ex Hotel Sheraton. Furono registrate 15 vittime.

Alessandro Ceresa

 

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