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Barzio: vecchie logiche urbanistiche per nuove strade e nuove case.
L’ambiente e la qualità della vita in valle pagheranno un pesante prezzo

Nel bel mezzo dell’estate ferragostana il sindaco di Barzio approva un progetto stravolgente ripescando una
idea vecchia più di 15 anni. Il paese di Barzio non progredisce così con l’innovazione ma regredisce
pericolosamente alle vecchie logiche degli anni '70, ancorate alla mobilità con auto privata, all’edilizia
speculativa ed al turismo di massa a spese del paesaggio e della qualità della vita della valle.

Se il tentativo dell’Amministrazione Comunale vuole essere quello di rilanciare le vocazioni turistiche del
paese, anche a favore della stazione sciistica dei Piani di Bobbio, attraverso la delocalizzazione dei flussi di
traffico e il potenziamento delle aree di posteggio con oltre 500 nuovi posti auto, crediamo invece che gli
effetti di questa scelta saranno quelli di costringere ancor di più la località a dover accettare supinamente un
ulteriore soffocamento generato dal turismo di giornata.

Secondo vecchie logiche di sviluppo urbanistico si vuole così denaturare ulteriormente il territorio occupando
e attraversando gran parte degli ultimi spazi non edificati dell’altipiano che rappresentano oggi l’unica traccia
della vera identità della comunità locale.

Il prezzo di questa scelta sarà altissimo: perdita di suolo agricolo, perdita di aree boscate, perdita di senso di
appartenenza della comunità residente al proprio luogo, perdita di qualità della vita (più traffico, più
inquinamento dell’aria, più costi collettivi per la gestione dei servizi quali la raccolta dei rifiuti, la
manutenzione delle nuove infrastrutture). Basta elencare quali sono le tipologie dei terreni che verranno
definitivamente sacrificate e compromesse dal nuovo tracciato stradale e dai nuovi posteggi per capire la
portata delle trasformazioni che Barzio e la sua comunità rischiano di dover pagare. Verranno occupate aree
che nel PGT comunale risultano classificate:

- Ambiti paesaggistici di interesse per la continuità della rete verde;
- Ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico;
- Paesaggio agrario di interesse storico culturale provinciale;
- Ambiti naturali boschivi;
- Rete ecologica provinciale;
- Reticolo idrico minore tutti di assoluta valenza paesaggistica e culturale;

Oggi non è più giustificato uno sviluppo urbanistico che sia impostato solo su contenuti esclusivamente
quantitativi, ovvero più strade, più posteggi, più abitazioni per seconde case, poiché nel caso specifico le
conseguenze dirette di queste scelte saranno quelle rendere il paese di Barzio schiavo di una domanda
turistica feroce, che virerà sempre di più verso un basso valore qualitativo, una domanda che non guarderà
più alla bellezza del paesaggio e della montagna ma alla capienza del posteggio.

Turismo di qualità, in contrapposizione a quello di giornata, è il turismo legato a soggiorni in strutture
alberghiere, a prodotti di interesse che spaziano in una pluralità di attività (sportive, culturali, gastronomiche,
legate al benessere...). Progetti come quello appena approvato non vanno certo nella direzione di migliorare
la qualità dell’offerta del soggiorno ma rischiamo invece di amplificare un fenomeno oramai conclamato di
turismo mordi e fuggi, con deleterie ripercussioni non solo su Barzio ma su tutta la Valsassina, traslocando
gli effetti delle congestioni da traffico anche oltre i confini comunali, portando i picchi più intensi in tutti i
punti critici della viabilità che collega il comune di Barzio con il territorio provinciale (SP62, nuova Lecco-
Ballabio, raccordi con SS36, svincoli del ponte Manzoni).

E quando si arriverà a nuova saturazione della capienza creata, tutto inaspettatamente potrà crollare per
impossibilità nella gestione in continuità dei servizi e dei flussi, lasciando, come successo in altre realtà delle
stazioni sciistiche alpine, monumenti e opere divenute sovradimensionate o, peggio, abbandonate a causa
dello spostamento della domanda turistica in altre località sciistiche più attrattive.

Nemmeno la domanda edilizia giustifica questo progetto se consideriamo che Barzio ha il più alto rapporto
tra numero di abitazioni e numero di abitanti residenti (oltre il 75% delle unità abitative non è occupato) e
che nell’ultimo lustro (2016-2020) la popolazione residente è calata del 6%. Forse è questo un segnale del
peggioramento delle condizioni di vivibilità del paese?
Non si può infine trascurare l’importante modificazione delle condizioni climatiche che prevedono nell’arco di un ventennio una drastica riduzione delle precipitazioni a carattere nevoso sulle fasce prealpine a sud delle Alpi, proprio alle quote comprese tra i 1300 e i 1800 metri.

In un tempo inferiore ad una generazione umana lo scenario climatico sarà (ormai non ha più senso dire “potrà essere”) completamente stravolto, lasciando letteralmente sul terreno opere non più funzionali agli scopi per cui erano state pensate.
Occorre dare spazio a nuove logiche di sviluppo che puntino alla riduzione del traffico veicolare privato, alla
sua limitazione nelle aree abitate e nei centri urbani, sostituendolo con la mobilità collettiva, con offerte
turistiche che prediligano il soggiorno a medio termine, pensate in concertazione con il tessuto locale degli
imprenditori della ricettività, magari dando ad essi più opportunità per uno sviluppo turistico che non sia
pensato solo ed esclusivamente in funzione della stagione sciistica, perché la montagna si può e si deve vivere
in tutte le stagioni.

Chiediamo quindi al sindaco un deciso ripensamento ed un netto cambio di rotta nella pianificazione
urbanistica del paese di Barzio.

Lecco, 9 settembre 2021
Associazione WWF Lecco
Il Presidente Lello Bonelli
Circolo Legambiente Lecco
Il Presidente Laura Todde

Ce n’è una gran quantità anche da noi. Lungo le cancellate e le reti dei giardini si possono notare a primavera inoltrata le sue fitte infiorescenze bianche, costituite da piccoli fiori a cinque petali, e le foglie permanenti lanceolate con bordi finemente dentellati. Si chiama Photinia che in greco significa “splendente” a causa del colore rosso intenso assunto dalle foglie di alcune varietà durante la stagione della fioritura.

Ma fate attenzione. Molte photinie presentano bacche e foglie velenose a causa della presenza di acido cianidrico, tossina che si trova anche nei noccioli di pesche, susine e prugne. Meglio guardare e non toccare.

Lo chiamano “trombetta della Madonna” forse a causa del bell’azzurro - viola dei petali. Ma anche “giglio africano” per le sue origini. Sta di fatto che l’agapanthus, uno dei fiori preferiti da Claude Monet (il pittore delle ninfee) che lo ha riprodotto in alcuni dipinti, è una dalle essenze vegetali più diffuse nei nostri giardini. Si chiama agapanthus dal greco “agape” (amore fraterno, convito d’amicizia) e “anthos” (fiore).

Insomma, è il fiore dell’amore e dell’’amicizia sincera. È molto bello ma anche pericoloso perché possiede sostanze tossiche che possono produrre significative irritazioni della pelle. Meglio usare i guanti quando ve ne occupate.

Martedì, 27 Luglio 2021 17:15

IL PIOVERNA OGGI VISTO DAI PONTI

Due giorni di pioggia intensissima, e il Pioverna si gonfia come poche volte si e` visto, diventando un vero fiume quasi maestoso.
Una marea di acqua e fango (e qualche detrito) pronto a cadere su Bellano e sul Lago di Como (con non grande soddisfazione dei nostri vicini!). Ma si sa, le piogge conformano le montagne.|

Galleria fotografica da Pasturo a Taceno.

Domenica, 18 Luglio 2021 06:43

IL FIORE DEL VELCRO

Quello riprodotta nella foto è il fiore del velcro. No, non sono in preda ai fumi dell’alcool. Lo capirete fra qualche riga. Si tratta della bardana maggiore o arctium lappa, come dicono quelli che ne sanno. Dalle nostre parti la chiamano, più o meno, strapacavii per la sua fastidiosa e infallibile tendenza ad agganciarsi tenacemente, con i suoi numerosissimi uncini, ai capelli, ai vestiti e al pelo di pecore, capre e dei nostri cani. Oltre ad essere esteticamente appagante la bardana possiede anche notevoli doti tecnologiche.

È proprio così. Senza la bardana oggi la nostra civiltà post industriale sarebbe priva di uno dei suoi più diffusi e preziosi ritrovati, di uso comunissimo e di insostituibile praticità. Ed eccoci al velcro, quella semplice striscia che spesso sostituisce con profitto le cerniere lampo e i bottoni automatici. Avete presente? Ecco. Senza la bardana il velcro non esisterebbe proprio, perché è stato “inventato” nel 1948 dall’ingegnere svizzero Georges de Mestral che tornando da una scampagnata scoprì di avere, tenacemente appiccicati ai suoi indumenti, alcuni piccoli fiori rossi.

L’uomo li esaminò al microscopio che gli rivelò il segreto della bardana: centinaia di minuscoli uncini agganciati ai peli della giacca. Il passo successivo, la produzione industriale del velcro, fu questione di qualche anno. Un’ultima curiosità. Il nome velcro, diventato dagli anni Cinquanta un marchio registrato, nasce dall’unione di due termini francesi: velours (velluto) e crochet (uncino). Appunto.

Dei dieci punti monitorati nelle acque del Lario, quattro risultano fuori i limiti di legge: due giudicati come “fortemente inquinati” e due come “inquinati”

Sono stati dieci i punti monitorati quest’anno dalla Goletta nelle acque del Lario e sottoposti ad analisi microbiologiche, quattro sulla sponda comasca e sei su quella lecchese. Complessivamente quattro punti sono risultati fuori dai limiti di legge e più precisamente due sono stati giudicati come “fortemente inquinati” (uno in provincia di Como e uno in provincia di Lecco) e altri due come “inquinati” (uno in provincia di Como e uno in provincia di Lecco). Nel mirino ci sono sempre canali e foci, i principali veicoli con cui l’inquinamento microbiologico, causato da cattiva depurazione o scarichi illegali, arriva nei laghi.

È questa in sintesi la fotografia scattata nella tappa lombarda lungo le sponde del Lario da un team di tecnici e volontari di Goletta dei Laghi, la campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all’informazione sullo stato di salute dei bacini lacustri italiani. I risultati sono stati presentati all’interno di due conferenze stampa. La prima si è tenuta a Lecco e ha visto la partecipazione di Elisa Scocchera, Portavoce Goletta dei Laghi, Renata Zuffi Assessore all’ambiente Comune di Lecco, Laura Todde, Presidente circolo Lecco , Costanza Panella Presidente Legambiente Lario Orientale, Stefano Simonetti Assessore all’Ambiente Provincia di Lecco, Matteo Grazioli responsabile Comunicazione Lario Reti. La seconda a Como, dove sono intervenuti Barbara Meggetto, Presidente di Legambiente Lombardia, Enzo Tiso, Presidente circolo Legambiente Como, Annalisa Leone Responsabili tecnici goletta dei Laghi, con la partecipazione di Marco Galli Assessore all’Ambiente Ecologia Comune di Como, Federico Bassani vicepresidente della Provincia di Como, l’Ing. Marco Bernasconi e il dott. Claudio Citroni di Como acqua Srl e Marianna Bellase Università dell’Insubria.

“Sulla sponda occidentale del medio e alto Lario si conferma la buona qualità dell’acqua, come già ufficializzato dai periodici controlli di ATS nei punti di balneazione – dichiara il Presidente del Circolo Legambiente Como, Enzo Tiso -. Il leggero superamento dei limiti della concentrazione di escherichia coli alla foce del Telo ad Argegno dimostra però che occorre ancora vigilare sugli scarichi che recapitano nelle valli che confluiscono nel Lario, anche intervenendo sui piccoli depuratori comunali. Anche nel primo bacino assistiamo negli anni ad un lento ma costante miglioramento confermato dai nostri campionamenti alla foce del Breggia a Cernobbio e dai controlli di ATS a Villa Olmo e Villa Geno.
Ancora grave invece la situazione alla foce del Cosia ai giardini a lago dove l’acqua presenta anche quest’anno una alta carica inquinante. In quest’acqua, nonostante i cartelli di divieto di balneazione, comaschi e turisti cercano un pericoloso refrigerio durante questi giorni di calura estiva. Dal gennaio scorso la gestione di Como Depur è stata trasferita a Como Acqua srl che presto si occuperà di tutto il sistema fognario cittadino oltre che degli altri comuni gravitanti sulla valle del Cosia. Speriamo ci sia finalmente una inversione di tendenza con progetti seri e investimenti per la manutenzione, risanamento e ammodernamento degli impianti”

“Sulla sponda orientale del Lario passano l’esame la foce del torrente Inganna a Colico, dell’Esino a Perledo e del Meria a Mandello del Lario, come non era avvenuto la maggior parte dagli anni precedenti – dichiarano Costanza Panella , Presidente del circolo Lario orientale e Laura Todde, Presidente del circolo di Lecco. – La condizione favorevole del lago, più alto dopo le piogge, non è stata sufficiente per promuovere la foce del torrente sulla spiaggia di Oro, ancora una volta inquinata e sulla quale erano stati sospesi i prelievi dopo che nel 2017 era risultata entro i limiti. Ci auguriamo che i controlli e gli investimenti da parte dell’Ufficio d’Ambito e del gestore si estendano presto alle aree periferiche, e soprattutto che ci sia una svolta significativa sul fiume Caldone che attraversa Lecco e che, per l’ottava volta è risultato fortemente inquinato.”

Le due conferenze sono state anche l’occasione per una panoramica sul progetto LIFE Blue Lakes, che viaggia a bordo della Goletta dei Laghi 2021. In particolare non solo sull’attività scientifica relativa alle microplastiche, ma altresì anche per la diffusione della Carta del Lago, un documento redatto grazie ad un percorso partecipativo iniziato a febbraio e svolto negli ultimi mesi, sui tre laghi target del progetto: Garda, Trasimeno e Bracciano. Il percorso si è basato sull’impegno volontario di stakeholder pubblici e privati che hanno dedicato il loro tempo alla consultazione on line e alla stesura di un documento discusso e finalizzato durante webinar e workshop. L’obiettivo principale della Carta del Lago, che potrà essere adottata volontariamente dai portatori d’interesse, è individuare una serie di misure, impegni e azioni pratiche, volte a ridurre la presenza e gli impatti delle microplastiche nel lago. Una best practice di sicuro interesse anche per gli altri Laghi italiani toccati dalla campagna.

Partner principali della campagna, anche per il 2021, sono il CONOU, Consorzio Nazionale degli Oli Minerali Usati, che grazie alla raccolta e rigenerazione di un rifiuto pericoloso ha consentito all’Italia di diventare una realtà di eccellenza in Europa nel settore dell’economia circolare, Novamont, azienda leader a livello internazionale nel settore delle bioplastiche e dei biochemicals. Media partner il mensile di Legambiente, la Nuova Ecologia.

Anche quest’anno il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati è main partner della campagna estiva di Legambiente. Attivo dal 1984 anni, il CONOU garantisce la raccolta e l’avvio a riciclo degli oli lubrificanti usati su tutto il territorio nazionale: lo scorso anno nelle province bagnate dal Lago di Lugano il Consorzio ha recuperato 2.057 tonnellate a Como e 1.978 tonnellate a Varese di questo rifiuto pericoloso per la salute e per l’ambiente. L’olio usato – che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli – è un rifiuto che deve essere smaltito correttamente: 4 chili di olio usato, il cambio di un’auto, se versati in acqua inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche.

Ma l’olio usato è anche un’importante risorsa perché grazie alla filiera del Consorzio, può essere rigenerato tornando a nuova vita in un’ottica di economia circolare: il 98,8% dell’olio raccolto viene classificato come idoneo alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti. Un dato che fa dell’Italia il Paese leader in Europa. “La difesa dell’ambiente e in particolare del mare e dei laghi rappresenta uno dei capisaldi della nostra azione”, spiega il Presidente del CONOU, Riccardo Piunti. “Il Consorzio, paradigma di circolarità, dovrà continuare a fornire il massimo contributo possibile verso gli obiettivi di economia circolare, che resta il pilastro fondamentale della battaglia per ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali del Pianeta e quindi contrastare il cambiamento climatico”.




I prelievi e le analisi di Goletta dei Laghi vengono eseguiti da tecnici e volontari di Legambiente. L’ufficio scientifico dell’associazione si è occupato della loro formazione e del loro coordinamento, individuando laboratori certificati sul territorio. I campioni per le analisi microbiologiche sono prelevati in barattoli sterili e conservati in frigorifero fino al momento dell’analisi, che avviene lo stesso giorno di campionamento o comunque entro le 24 ore dal prelievo. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli).

LEGENDA

Facendo riferimento ai valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) i giudizi si esprimono sulla base dello schema seguente:

INQUINATO: Enterococchi Intestinali maggiore di 500 UFC/100ml e/o Escherichia Coli maggiore di 1000 UFC/100ml

FORTEMENTE INQUINATO: Enterococchi Intestinali maggiore di 1000 UFC/100ml e/o Escherichia Coli maggiore di 2000 UFC/100ml

È bene ricordare che il monitoraggio di Legambiente non vuole sostituirsi ai controlli ufficiali, ma punta a scovare le criticità ancora presenti nei sistemi depurativi per porre rimedio all’inquinamento dei nostri laghi, prendendo prevalentemente in considerazione i punti scelti in base al “maggior rischio” presunto di inquinamento, individuati dalle segnalazioni dei circoli di Legambiente e degli stessi cittadini attraverso il servizio SOS Goletta. Foci di fiumi e torrenti, scarichi e piccoli canali che spesso troviamo lungo le sponde dei nostri laghi, rappresentano i veicoli principali di contaminazione batterica dovuta alla insufficiente depurazione dei reflui urbani o agli scarichi illegali che, attraverso i corsi d’acqua, arrivano nei bacini lacustri. Il monitoraggio delle acque nel Lario è stato eseguito tra il 28 e il 29 giugno.

I parametri indagati sono microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia coli) e vengono considerati come “inquinati” i campioni in cui almeno uno dei due parametri supera il valore limite previsto dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli in cui i limiti vengono superati per più del doppio del valore normativo.

Per la sponda comasca “fortemente inquinato” è risultato il prelievo eseguito a lago, davanti alla foce del torrente Cosia, con cariche batteriche più alte di quelle consentite per gli scarichi. “Inquinato” risulta il punto alla foce del torrente Telo, ad Argegno, punto storicamente monitorato dalla Goletta dei Laghi e risultato entro i limiti negli ultimi cinque anni. Quest’ultimo risulta balneabile dal Portale delle Acque del Ministero della Salute.

Entro i limiti, come negli ultimi 3 anni, i prelievi effettuati presso la foce del torrente Breggia, a Cernobbio, e alla foce del torrente Albano, a Dongo.

Per la sponda lecchese dei sei punti campionati risulta “fortemente inquinato” il prelievo effettuato presso la foce del torrente Caldone, nella città di Lecco, e “inquinato” la foce del torrente Valle dei Mulini (Oro), a Bellano. Quest’ultimo in particolare risulta balneabile dal Portale delle Acque del Ministero della Salute. Entro i limiti risultano i prelievi a lago, presso la foce del torrente Inganna (a Colico) e presso la foce del torrente Esino (a Perledo), il prelievo effettuato presso la foce del torrente Meria, a Mandello del Lario, e quello presso la foce del torrente Gallavesa, a Vercurago..

Goletta dei Laghi sarà anche l’occasione per tornare sul tema delle microplastiche nelle acque interne. In particolare, i laghi Garda, Trasimeno e Bracciano saranno al centro del progetto Life Blue Lakes che ha l’obiettivo di prevenire e ridurre l’inquinamento da microplastiche nei laghi, coinvolgendo partner scientifici, associazioni, autorità competenti e istituzioni.

Sabato, 03 Luglio 2021 06:50

IL GRIDO DELLA CAROTA

"Le cri de la carotte", di James Hansen.
Sì, il “grido della carota”. Recenti ricerche suggeriscono che le piante, come gli
animali, sentono dolore e possiedono una forma semplice d’intelligenza. Si pone così un nuovo
problema etico—e forse alimentare—che il francese Dominique Lestel, autore di Apologie du carnivore,
riassume in questi termini: “Perché sarebbe più etico far soffrire una carota piuttosto che una lepre?”
L’intento dello scrittore “carnivoro” è ovviamente polemico, ma la domanda non è senza merito. Se
entrambi i tipi di organismi soffrono quando li consumiamo, che senso ha risparmiare gli animali
mentre uccidiamo con violenza carote, verdure e germogli di soia? Lestel conclude che vegetariani
e vegani sono degli assassini né più né meno di chi mangia una bistecca al sangue e, a semplice
rigor di logica, è difficile dargli torto.

La domanda in sé non è nuova. Gli erbivori “filosofici” finora se la sono cavata asserendo che le piante
non possono provare dolore perché non hanno un sistema nervoso. Però, negli ultimi tempi ricerche
hanno dimostrato che, per quanto il funzionamento delle reazioni e, volendo, delle “emozioni” delle
piante sia diverso da quello degli animali, qualcosa di molto simile esiste pure negli organismi vegetali.
Un’equipe dell’Università di Losanna, per esempio, ha dimostrato l’esistenza di un meccanismo nelle
piante che permette alle foglie “ferite” di comunicare il danno subìto attraverso “un processo di
segnalazione a lunga distanza” che “stimola la produzione di... potenti regolatori delle reazioni di difesa”.
Il lavoro, secondo i ricercatori, indicherebbe la presenza nella pianta Arabidopsis—un’erbaccia comune
nei prati italiani—“di geni simili a quelli importanti per l’attività sinaptica negli animali”, un’attività che
agisce cioè come una sorta di “sistema nervoso diffuso”.

Ciò non dovrebbe sorprendere. Per quanto non siamo soliti a percepirle a questa maniera, le piante sono
tra gli organismi più grandi e complessi del mondo. Un esemplare di Posidonia oceanica, scoperto nel
2006 sui fondali al largo delle Baleari, è lungo circa otto km e vecchio—si stima—più di 100mila anni.
Indipendentemente dalle “verità” scientifiche, ormai da tempo va di moda attribuire una vita emotiva
alle piante—almeno quando sono raggruppate in boschi o simili. È il tema centrale di un importante
bestseller internazionale dell’ambientalista tedesco Peter Wohlleben, “The Secret Life of Trees”, “La
saggezza degli alberi” in versione italiana. Wohlleben scrive: “Che sia un lupo che sbrana un cinghiale
oppure un cervo che mangia un germoglio di quercia, in entrambi i casi ci sono dolore e morte”.

Poniamo allora che le piante soffrano terribilmente quando le raccogliamo. Dobbiamo quindi rinunciare
a consumarle? La risposta è palesemente “no”. Di che cosa ci nutriremmo poi, oltre alle foglie morte
cadute per terra o a qualche sbobba unicellulare che non potrà pensare a niente? Forse è utile ricordarsi
delle civiltà asiatiche storicamente vegetariane. Potrebbe non essere un caso che sono emerse tra
popolazioni con una densità tale da rendere impossibile sfamare tutti con la carne. La storia dimostra
una notevole tendenza a trasformare ciò che è necessario in moralità. Se davvero le piante soffrono
nell’essere mangiate, o cambiamo dieta o cambiamo etica.

È un’esplosione di intenso fucsia dai petali lunghi, bi o triforcuti. Il pomposo nome scientifico è Centaurea uniflora. Nella variante “nervosa” si trova molto spesso nei nostri prati fino a quote piuttosto elevate. Tant’è vero che il nome più comune suona “fiordaliso alpino”. L’appellativo scientifico ha origini antichissime, addirittura mitiche. Pare infatti che il centauro Chirone, medico dell’eroe omerico Achille, guarì da una profonda ferita grazie all’utilizzo topico di questa essenza.

La centaurea è anche definita “nervosa” a causa della nervatura ben evidente delle foglie. Il suo cugino più noto, il fiordaliso comune, con petali blu - viola, è utilizzato in erboristeria per le proprietà anticoagulanti, antibatteriche, antibiotiche, diuretiche, antiinfiammatorie. Viene impiegato sotto forma di infuso, tisana o pomata.

È bellissima ma pericolosa: una vera e propria “bomba” per l’ambiente. Ha un nome gentile, quasi dolce: balsamina ghiandolosa. Vive in fitte popolazioni sulle rive dei corsi d’acqua. Lungo la pista ciclabile, dove il torrente si avvicina all’asfalto, se ne trovano numerose colonie dai fiori carnosi e morbidamente ondulati. Sembrano piccole orchidee purpuree. La balsamina è una pianta originaria dell’Hymalaia importata forse per ornare parchi e giardini.

Ma come speso accade -non solo con la flora- sta prendendo il sopravvento sulle essenze vegetali autoctone e inizia a diventare un problema a tal punto che in Svizzera ne è proibita la coltivazione. Possiede una rara ma efficacissima capacità diffusiva. Giunti a maturazione i baccelli esplodono letteralmente sparando alcune migliaia di semi in un raggio di 6 o 7 metri fecondando ampie aree di territorio e distribuendo fino a 30mila semi per metro quadrato.

L’unico modo per controllarne l’espansione è sradicarla, operazione piuttosto semplice visto cha la Balsamina ha radici corte e delicate. Ma non riciclate gli scarti vegetali: i semi possono sopravvivere per anni. L’alternativa è lo sfalcio che deve essere ripetuto almeno due volte l’anno e prima che i baccelli esplodano. Però è un peccato: è davvero bella.

Giovedì, 10 Giugno 2021 19:04

IERI PARZIALE ECLISSI DI SOLE

Sì, ammettiamolo. Quella mezzaluna (perché la responsabilità e tutta del nostro satellite) che copre in piccola parte il disco solare non è proprio granché. Dobbiamo accontentarci di quello che passa il cielo. Oltretutto l’immagine dell’eclisse di sole verificatasi ieri proviene da Londra dove Richard, un amico che vive e lavora lì, l’ha scattata.

Anche da Milano e Da Roma è stato possibile ammirare il fenomeno astronomico, ma solo molto parzialmente, fra le 12,15 e le 12,45. Il fatto è che la Luna si è frapposta fra la Terra e la nostra “stella madre” solo parzialmente. Almeno alle nostre latitudini. Se volete assistere a un’eclisse totale dovrete aspettare un po’. Accadrà il 12 agosto 2026, quando il nostro satellite oscurerà il sole fino al 95% della superficie visibile.

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