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Pubblicato in Cultura

"IL RICONOSCIMENTO". UN RACCONTO NATALIZIO DI TERESA CASSANI

Giovedì, 30 Novembre 2023 09:00 Scritto da  Teresa Cassani

Lo chiamavano Il Matto e matto sembrava davvero o almeno un po’ strano. Per gli atteggiamenti, per come si vestiva e come teneva la casa. Era un tipo inconsueto, insomma, uno di quegli strampalati che si ritrovano in tutti i paesi.

Abitava in campagna, appena fuori dal centro cittadino, in una casa malandata, con le grondaie da rifare, le persiane sbreccate, il fumo della stufa che, nel periodo invernale, usciva da un buco della finestra.

Allevava anatre, oche, polli e conigli che occupavano il cortile privo di erba e attraversato da una canaletta di scolo. C’erano qua e là stie, sacchi, gabbie di vimini, attrezzi da contadino, assi, qualche mobile scaraventato all’esterno e abbandonato sotto il sole e le intemperie. E l’odore del mangime misto a quello degli escrementi.

Non era riuscito a concludere gli studi da ingegnere, non aveva l’energia. Troppe ore di applicazione, troppa concentrazione per uno col turbinio dei pensieri proiettati altrove. E poi, quando si è abituati alla libertà della campagna, non ci si può costringere per tempi lunghi al tavolino. Si ha bisogno di correre fuori, di sentire il profumo dell’erba, delle cortecce, delle zolle. Dell'aria pura.

Quando tornava dal Liceo, mille anni prima, dopo quindici chilometri di bicicletta, trovava la madre vestita di scuro, gli zoccoli ai piedi, che andava su e giù per la cucina affumicata con in testa il pensiero della cicoria da tagliare per gli animali. Il tavolo era ancora spoglio. Sulla stufa bolliva l’acqua della pentola.

Lui avrebbe fatto l’allevatore, anche di agnelli e di capretti. L’ingegnere no.

Però l’idea di costruire, di assemblare gli era rimasta.

Portava a casa ogni attrezzo in disuso, trovato nei cortili vicini e anche in quelli più distanti, come vecchie turbine, motori, ingranaggi obsoleti di macchine, manubri di biciclette, volanti di automobili, e li assemblava creando nuovi oggetti, performance di scultura.

Li aveva disposti in fila parallela alla rete metallica che dava sulla strada, in modo che la gente vedesse. La gente passava in fretta in macchina e non guardava o guardava distratta. È un originale. È fatto alla sua maniera. Mancava solo che aggiungessero chissenefrega.

E poi l’odore che proveniva dal cortile, quella miscela di mangime e di sterco, allontanava.

Una volta, davanti al cancello si era fermato il prete in bicicletta. Le anatre starnazzavano, le oche, procedendo con i palmati nel fango, facevano l'atto di avventarsi contro l'uomo in clergy. Il cane, dentro il recinto, si era messo ad abbaiare.

Finalmente, era comparso il padrone di casa. Con una vecchia giacca a brindelli e un martello in mano.

-Ho notato i tuoi lavori. Sono molto belli, sai? - la voce del prete da dietro la rete oltrepassava il baccano delle anatre e delle oche.

-Le piacciono?

-Ho visto che c’è anche la Sacra Famiglia. Un po’ inquietanti i visi fatti con quelle maniglie di bombole, ma originali.

-Eh, sì.

-Sai, mi piacerebbe che quest’anno il presepe nel sagrato si facesse con i tuoi lavori.

Il Matto aveva abbassato la testa. Poi l’aveva rialzata. Gli era uscito un balbettio:

-Ma se non pia …c... ciono?

-Sì che piacciono! Manderò qualcuno col furgone a caricare le tue opere.

Quando il prete riprese la bicicletta e scosse la rete metallica, il cane ricominciò ad abbaiare forte mentre le anatre e le oche continuavano a fare versi.

Il Matto girò le spalle alla strada e, mentre si abbassava per togliere l’acqua sporca da un abbeveratoio, si chiese se dovesse considerarlo un gesto di apprezzamento o di pietà.

Dopo qualche settimana, all’inizio di dicembre, la composizione venne collocata nello spazio antistante la chiesa. Alcuni si entusiasmarono, altri fecero le facce storte. Quelle torri di batterie a fungere da corpi della Vergine e di S. Giuseppe lasciavano perplessi, per non parlare del Bambinello ricavato da un estintore.

- Ma don! Non le sembrerà mica questo il modo di fare il presepe? - chiesero due ferventi donne.

- Non vi piace?

- Me pias no- disse una.

- Dovete pensare al significato.

- Ma l’è un rebelot – disse l’altra.

- È un’opera performante che rivela un talento non comune, ne sono sicuro, ma, se non rispecchia i vostri gusti, dovete pensare all’impegno della persona che l’ha realizzata. Al suo mondo. E anche alla gioia che noi possiamo donare con questo riconoscimento, con questo piccolo gesto d’amore.

Annuirono.

-Ha ragione, don! Ha ragione.

Dissero insieme.

Ultima modifica il Giovedì, 30 Novembre 2023 09:17
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